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Neverending Series: Celtics - Bulls 4-3

7 partite, 7 tempi supplementari, una media di 6 punti di scarto per ogni vittoria, falsata però dal successo Celtics di 21 punti in gara 3. Questi i numeri: la serie più bella di sempre? Forse, qualcuno lo sostiene. Di sicuro è una di quelle serie speciali, dove le squadre si appiccicano l’una sull’altra e ribattono colpo su colpo, mentre il fattore emozionale diventa di volta in volta più decisivo. 7 partite che hanno appassionato tifosi e meno tifosi, grazie al gioco sbilanciato verso la fase offensiva ed a percentuali di tiro sempre molto buone, 7 partite oneste, sportive, imprevedibili perché il fattore campo rischiava costantemente di essere sbugiardato, come in effetti per ben due volte è successo. Questi gli ingredienti del turno che ha elettrizzato i Playoff NBA già dalle sue prime fasi: ma al di là dello spettacolo qualcuno ha vinto e qualcun altro è tornato a casa, vediamo come e perché.

I favori del pronostico andavano tutti a Boston, che però già l’anno scorso aveva faticato non poco con gli Hawks. Privi dell’apporto fondamentale di Garnett, meno motivati ed organizzati in difesa, affrontavano dei Bulls che pagavano con la settima posizione in griglia un brutto inizio di stagione. Dalla trade che ha portato in Illinois Brad Miller e John Salmons, donando alla squadra un’identità più precisa, il vento aveva iniziato a cambiare, e c’erano tutte le premesse per disputare una serie onorevole, prima di fare le valigie ed andare in vacanza. Se i Tori sono andati oltre ogni più rosea aspettativa, lo si deve soprattutto a Derrick Rose ed ai 36 punti, conditi da 11 assist, che hanno regalato al suo team due cose: la vittoria in gara 1 e, soprattutto, la consapevolezza di potere vincere. Il rookie da Memphis si è poi scambiato più volte il ruolo di trascinatore con Ben Gordon, protagonista di un duello entusiasmante con Ray Allen, capace di mandare a segno più di un canestro cruciale nei minuti finali, apparendo spesso inarrestabile. Il resto della squadra, va da sé, ha dato il massimo, senza però abbandonare la dovuta lucidità che coach Del Negro, all’esordio anch’egli, è stato in grado di trasmettere.
Dall’altra parte del campo, intanto, i Celtics litigavano con se stessi, e cercavano quel che non si può trovare. Cercavano in Garnett l’energia e la classe di cui mancavano, trovando soltanto uno spilungone confinato in un abito elegante come un animale in gabbia. Cercavano la difesa dello scorso anno, senza ricevere risposta, cercavano in Pierce una soluzione che quasi mai arrivava. Il tempo di fare i conti con il proprio presente, e sei partite erano già passate. Gara 7 ci ha mostrato infine il vero volto, umile ma dignitoso, dei Celtics anno 2008/2009: il deficit tecnico/tattico creato dall’assenza di Garnett tende ad assumere la forma di un buco nero, ma con un gioco equilibrato ed una difesa costante, i Bulls sono stati ridimensionati. Rispetto all’anno scorso, poi, c’è qualcosa in più; c’è un Rondo a livelli stellari, c’è una coppia di lunghi che merita applausi per l’impegno profuso, c’è un Ray Allen in forma ottimale. Troppi restano gli elementi mancanti, ma chissà, fosse stato altrimenti magari ci saremmo persi questi 371 minuti di spettacolo e adrenalina. Quindi, va bene così, tiriamo un lungo sospiro, e giù il cappello per i duellanti.

Pagelle

Chicago Bulls
Derrick Rose 8: uno dei migliori esordi ai Playoff per un rookie, e poi tanta sostanza e lucidità, e punti quando servivano. Quando hai un ragazzino che gioca già come un veterano, e per giunta è una stella, cosa vuoi di più?
Ben Gordon 7: il buon BG ha pensato che fosse ora di meritarsi i soldi che richiede per estendere il contratto. Consistente come non mai in difesa, in attacco inglobava la palla come al solito, è vero, ma a volte la depositava in fondo al cesto senza neanche farti capire come. E’ mancato un po’ sul più bello.
John Salmons 7: una sentenza. Ha zittito Pierce per lunghi tratti, permettendosi poi di scappargli via in attacco come nulla fosse. Tante triple con spazio, tanti canestri facili ma non solo. Anche lui, leggermente assente nella resa dei conti.
Tyrus Thomas 5,5: in certi frangenti, bisogna ammetterlo, è sembrato un giocatore di pallacanestro. Ma al di là della patina dorata composta da qualche bel tiro piazzato e tanti gesti atletici, restano la discontinuità assoluta e i tanti errori. Buon interprete nella difesa di squadra, però.
Joakim Noah 6,5: come il collega, ha compiuto tanti errori di inesperienza ed è clamorosamente mancato in gara 7. Però, dalla sua ha la rubata + sprint + schiacciata che ha esaltato lo United Center in gara 6, dominio incontrastato a rimbalzo e una serie di prestazioni notevoli sui due fronti.
Kirk Heinrich 5,5: il voto riunisce l’insufficienza delle prime partite con l’ampia sufficienza delle ultime, dove usciva dalla panca con il diavolo in corpo. Fondamentali le sue capacità difensive, ben sfruttate da Del Negro che lo giostrava fra i tre esterni.
Brad Miller 6: similmente al collega di panca, non è stato affatto costante. Ma la sua capacità di influenzare in positivo il gioco dei Bulls è apparsa notevole. Lo si è anche visto saltare e fare a spintoni come ai bei tempi.

Boston Celtics
Rajon Rondo 8: sì, chiamateli Big Four. Quello che un anno fa era considerato l’anello debole, adesso è il fulcro della squadra. Quando i suoi superiori stentavano, ci pensava lui a tirare il carro, riconsegnandolo solo in mani fidate. Ha fatto impazzire la difesa dei Bulls con la sua velocità, poi quando ha iniziato ad accusare la stanchezza ha saggiamente abbassato i ritmi concentrandosi sugli assist; un’intelligenza che lo scorso anno non aveva.
Ray Allen 7: sul voto complessivo pesano l’imbarazzante assenza di gara 1 e i problemi di falli in gara 5. Per il resto, Allen si è preso sulle spalle il compito di segnare quando a Rondo hanno iniziato a dolere le gambe, ed in effetti ha segnato come non mai. 51 nella sola gara 6.
Paul Pierce 5,5: prestazioni solide per il capitano, nulla da eccepire, ed anche una serie di jumper che ha portato a casa gara 5. Ma è mancata la sua energia, anche in difesa; non è stato un punto di riferimento per i compagni.
Glen Davis 6,5: alcune volte faceva ridere, altre faceva arrabbiare, ma questo ragazzo ha compiuto progressi eccezionali, ed a parte qualche calo fisico ed emozionale, si è dimostrato in grado di tenere il palco.
Kendrick Perkins 6,5: discorso simile a quello di Rondo. Avvertendo il senso di necessità, ha eliminato dal suo gioco tutta la disattenzione che lo contraddistingue ed ha iniziato ad essere intenso e deciso. Un fattore, per buona parte della serie.
Eddie House 5: assente per 6 partite, complice la poca fiducia riposta in lui da Rivers. Poi, scatta l’interruttore, e in gara 7 giù triple come se piovesse.
Stephon Marbury 4,5: a lui invece Rivers voleva dare fiducia, ma al suo posto si è presentato sul parquet una sorta di fantasma in grado di rinunciare a tiri che il vero Marbury avrebbe già sparato verso il canestro prima ancora di pensarci.
Leon Powe sv: un po’ di minuti, e poi la stagione è finita. Peccato.
Mikki Moore 4: un po’ di minuti, e poi la stagione continua. E’ un peccato anche questo.
Brian Scalabrine 5,5: è tornato a serie in corso per colmare il vuoto lasciato da Powe, e ha fatto il suo dovere.

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