Chicago – Miami è la finale della Eastern Conference. Nulla di più consueto che trovare faccia a faccia la numero uno e due sul tabellone, eppure questo confronto non era così scontato come la classifica lascerebbe pensare. I Playoff, si sa, sono quasi uno sport differente, dove Heat e Bulls si sarebbero cimentati per la prima volta dopo la rifondazione che ha coinvolto le due franchigie nella scorsa estate. Non in pochi continuavano a vedere favoriti i Celtics, esperti e smaliziati anche se in fase calante, magari ostacolati da Magic e Hawks, frequentatori ormai abituali dei parquet di Maggio. Invece, le cose sono andate diversamente.
Orlando è stata la prima a salutare la compagnia. Non si respira una bella aria in questa parte della Florida, con il maxi-scambio d'inizio stagione che in sostanza ha lasciato le cose inalterate, anzi peggiorando i risultati, ed un Dwight Howard vagamente insofferente e incapace di guidare la squadra alla vittoria contro quegli stessi Hawks dei quali aveva abusato l'anno precedente. Una serie gestita con grande intelligenza da Atlanta, che mancando di uomini per contrastare il centro col numero 12 si è concentrata, efficacemente, sul resto. Nessun problema invece per Chicago, Boston e Miami, che superano il primo turno in scioltezza, ma due grandi forze stavano per entrare in rotta di collisione. Celtics – Heat è stata la finale che ha catalizzato l'attenzione di tutti. Non ci aspettava un gioco bello, spettacolare, ma anche chi pregustava la tensione di una serie combattuta è rimasto deluso. La sfida tra i campioni di Conference in carica e gli odiatissimi nuovi Big Three, poco convincenti in stagione regolare contro le grandi, si è conclusa rapidamente con un sonoro 4-1 per Miami. I Celtics, causa infortuni, scambi azzardati e l'età che avanza, non erano gli stessi di inizio stagione; un lampo in gara 3, con una difesa vecchio stile e il miracoloso ritorno in campo di Rondo dopo aver subito un'impressionante lussazione al gomito, e poco altro. Miami ha dominato con l'intensità difensiva, con la forza e la resistenza fisica, con la capacità di affidarsi al talento e alla voglia di vincere per chiudere le partite, tutte a punteggio basso, nell'ultimo quarto. Anche il coach Spoelstra, nuovo a palcoscenici di così alto livello, non ha sfigurato di fronte al collega Rivers.
Anche dall'altra parte del tabellone la sfida tra Bulls e Hawks lasciava spazio a numerosi interrogativi. Gli Hawks parevano aver perso la spinta dei primi anni, eppure la vittoria contro i Magic aveva impressionato e Johnson e Smith si presentavano in ottima forma. Al contrario, Chicago si trovava a fare i conti con gli acciacchi di Rose e Boozer e qualche spavento di troppo vissuto contro i modesti Indiana Pacers. Che il sogno costruito in regular season stesse iniziando a scricchiolare? La vittoria di Atlanta in gara 1, corsara in Illinois, sembrava confermare tutti i dubbi. I Bulls però si dimostrano più cattivi, determinati e concentrati di quanto lasciavano supporre le critiche. Come la migliore delle squadre abituate a vincere, ed il suo coach Thibodeau lo è, rimette in pari la serie pur non brillando e poi chiude in crescendo.
E' una sfida del tutto inedita quella che stiamo iniziando a vivere nella finale di Conference, e per questo ancora più interessante. Solo i Dallas Mavericks rimangono, inaspettatamente, a rappresentare la vecchia guardia a Ovest; per il resto c'è solo il nuovo che avanza, e la sfida tra Miami e Chicago darà probabilmente una forte impronta alla Lega per gli anni a venire. Esaltanti le sfide individuali, intriganti gli spunti tattici, emozionanti le due storie a confronto; avrà la meglio lo slancio emotivo degli Heat, carichi a mille dopo aver eliminato i Celtics e guidati da un James ansioso più che mai di vincere, o la straordinaria costanza e l'abnegazione dei Bulls, aggrappati coi denti a un sogno a cui pochissimi avrebbero dato credito, ben coscienti col loro allenatore che basterebbe allentare la presa per un attimo per vederlo infrangere?







Nessun commento:
Posta un commento