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NBA Finals: Dallas Mavericks - Miami Heat 4 - 2

Quella dei Dallas Mavericks è stata la vittoria che (quasi) tutti i tifosi aspettavano; quelli che da anni ammirano la franchigia texana e il suo portabandiera, Dirk Nowitzki, e attendevano il riscatto da quelle sciagurate annate 2006 e 2007, e soprattutto quelli che odiano, invidiano e maledicono Lebron James e i Miami Heat, tifando per una loro disfatta come si fa per i cattivi dei fumetti.
Ma quello che più ci interessa, da appassionati di pallacanestro, è che ancora una volta abbiamo assistito ad una serie finale bella ed emozionante; c'è stato molto chiacchiericcio off-court, è vero, ma lo spettacolo e l'intensità sul campo non ne hanno risentito. Sei partite tese, risoltesi sempre nei minuti finali, con Dallas che alla fine ha trionfato mostrando una sicurezza in costante crescita; com'è maturata? Proviamo a capirlo.


I favori del pronostico faticavano ad andare in una direzione precisa, con delle Finals così inaspettate. Entrambe le squadre avevano superato le aspettative aggredendo e rispedendo a casa avversari più quotati: i Mavs con il cappotto rifilato ai Lakers, gli Heat dominando con Celtics e Bulls. Certo, qualche dubbio sulle loro reali capacità era legittimo, visto che Boston era in fase calante e Chicago ancora inesperta, ma era difficile non rimanere impressionati dalla pressione difensiva applicata dagli uomini di Spoelstra e dalla capacità di chiudere le partite nell'ultimo quarto, affidandosi al duo James-Wade con l'occasionale apporto di un ritrovato Chris Bosh. Dallas poteva d'altro canto vantare l'attacco più in forma ed efficace dei Playoff, tanta esperienza e punti dalla panchina, ma tutto ciò non è stato abbastanza per invertire la tendenza. Almeno fino al terzo quarto di gara 2.
Gli Heat, fino a quel momento in totale controllo e avanti di più di dieci punti, lasciano le redini e Dallas aggredisce. E' una delle rimonte più sensazionali della storia delle finali, guidata da un Nowitzki che mette dentro qualsiasi cosa. Il fragile equilibrio su cui si basava la supremazia degli Heat si spezza, e la serie muta radicalmente. Miami, con un impeto d'orgoglio, è corsara in Texas in gara 3 ma inizia ad affrontare seri problemi di concentrazione, intensità e, soprattutto, fiducia. Spoelstra ha le idee confuse; Chalmers e Bibby si alternano nella posizione di 1 senza che nessuno si imponga, i lunghi non hanno una risposta nella marcatura individuale di Nowitzki, Joel Anthony mette in mostra tutti i suoi limiti facendo rimpiangere il mancato impiego di Dampier e Ilgauskas, Barea scorrazza nel pitturato e James non ha la rapidità per stare dietro al primo passo di Terry. Quel che è più grave, però, è che nell'ultimo quarto Miami inizia ad infrangersi contro un muro invisibile, con Wade e James incapaci di prendere la partita in pugno come avevano fatto nelle serie precedenti, l'intera squadra gioca con scarsa intelligenza senza riuscire a mettere in mostra i limiti, ad esempio quelli anagrafici, degli avversari.
Quando la palla pesa di più è sempre Dallas a prevalere, guidata magistralmente da Jason Kidd e dal coach Rick Carlisle, in costante controllo della situazione. Anche loro attraversano momenti migliori (Chandler e Marion sugli scudi, specie in difesa, in gara 3 e 4) e peggiori (il ritmo accelerato di gara 5 e 6, con gli Heat che comunque non riescono a correre, ma che manda un po' fuori fase Nowitzki e invita Barea e Terry a prendersi numerosi tiri forzati), ma ormai servirebbe una svolta colossale per togliere l'anello dal dito dei texani, quel tipo di exploit individuale che Wade o James sono perfettamente in grado di fornire. Nulla del genere accade, e i Mavs festeggiano con grandissimo merito.

Abbiamo già accennato al teatrino mediatico sorto intorno alla sconfitta degli Heat, di scarso valore ma evidentemente di alto interesse, visto che la questione è caldissima in ogni angolo del web. Anche gli stessi protagonisti non hanno contribuito a raffreddare gli animi; in questo caso sono stati proprio i più simpatici Mavs a prodursi in poco simpatiche affermazioni, chiedere ai loquaci Terry e Stevenson, mentre gli Heat mantenevano il basso profilo adottato in stagione, ma ormai sono loro i villain della NBA. C'è chi poco si cura dei meriti di Dallas e calca la mano su Lebron James, confutandone i numerosi soprannomi, additandolo come perdente per le sue mancanze in questa serie e soprattutto per la sua “Decision” della scorsa estate. C'è chi invece preferisce fare meno sfoggio del senno del poi, ricordando che comunque gli Heat versione 2010/2011 nascevano con grandi limiti ed hanno già superato, almeno coi risultati, le aspettative di molti e concentrandosi su ciò che Lebron James fa sul campo piuttosto che sul personaggio, costruito da quello stesso teatrino mediatico che talvolta è bene evitare anziché dallo stesso giocatore.
E voi, da che parte state? Se volete, potete dire la vostra qui:
BASKET CONNECTION - Playoff NBA, The Finals



Andrea Cassini

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