
I Magic, reduci da una post-season degna di un bambino lasciato libero di scorazzare in un negozio di dolciumi, arrivavano alle Finals col sorriso sulle labbra. Una squadra capace di divertire e di divertirsi, che ha raggiunto un'identità tale da giocarsela a viso aperto anche on the road. Partiti con il rischio di rovinare tutto al primo turno, i Magic hanno faticato contro una Philadelphia tutt’altro che irresistibile; poi, sono stati in grado di affondare il coltello nella piaga delle poche motivazioni e dei tanti infortuni dei campioni uscenti, per poi raggiungere l’apice, in termini di sforzo e qualità difensiva – offensiva, nella serie contro i Cavaliers. Il più grosso enigma pre-Finals ha riguardato i dubbi sull’efficacia della tenuta mentale del gruppo di Van Gundy; a questi sono seguiti i nodi sull’efficacia di Howard tra i lunghi losangelini (ricordiamo che spesso Dwight rappresenta l’unico giocatore a presidiare l’area con tutti gli altri suoi 4 compagni sul perimetro) e il bisogno di confermare l'incisività di Lewis e di Turkoglu nei confronti degli adattamenti difensivi di Jackson. Le precedenti serie contro i 76ers e i Celtics hanno mostrato (al pubblico e ai Magic stessi) la capacità di trovare, ciclicamente, energia e leadership da tanti uomini (Turkoglu, Howard, Lewis, Alston) piuttosto che da una sola all-star (ciò che Howard vorrebbe essere), mentre la Conference Final contro i Cavaliers ha regalato ai tifosi la consapevolezza di un gruppo dal potenziale difensivo di squadra di primissimo livello comunque in grado di spegnere i bollenti spiriti di uno che – almeno a parole – viene designato il dominatore incontrastato del prossimo futuro della Lega (sì, proprio lui: King James).
Le due gare allo Staples Center non sono state degne dei Magic della post-season (sprazzi da Turkoglu nel primo tempo di Gara 1 e talento puro di Lewis in Gara 2); nonostante questo, la superficialità dei Lakers li ha portati a sfiorare il colpaccio in Gara 2 confermando che – mentalmente – questi Magic non erano affatto pronti alla rabbia di Kobe&soci (si pensi che con un pò di cattiveria agonistica in più avrebbero portato la serie sull'1-1 con tutti i pro del caso). Tornati in Florida per Gara 3, i Magic hanno iniziato a carburare e, da lì, sono ufficialmente cominciate le NBA Finals di Orlando (anche se col 2-0 la serie sembrava già ampiamente compromessa).
Sul lato offensivo, la vera differenza tra una squadra di regular e una di post-season è stata segnata dalla capacità di selezione dei tiri presi. La filosofia di gioco dentro fuori dei Magic è ben differente da quella dei Rockets di Adelman e i Lakers sono incappati nei due principali temi: pick'n'roll con Howard – scarico – tiro dal perimetro, ma anche e soprattutto pick'n'roll con Howard – scarico – penetrazione a canestro, di cui si son resi protagonisti il “solito” Turkoglu, ma anche Lewis, Lee, Pietrus e, sopra tutti, Alston. La mancanza di punti di riferimento in quello che ha sempre costituito una costante nel gioco dei Magic (ossia il tiro da 3 dopo lo scarico, praticato meno in Gara 3) ha stupito i Lakers e ha messo in difficoltà gli equilibri difensivi perimetrali di Fisher, Bryant e Ariza. Di contro, l’efficacia delle penetrazioni ha fatto collassare le torri californiane sui penetratori aprendo spazi ai rimbalzi offensivi di Howard (aiutato anche dai problemi di falli di Gasol, l’unico vero problema del centrone biancoblù in tutta la serie). Nonostante questo, il rientro dei Lakers non è tardato ad arrivare (dovuto sostanzialmente a clamorosi blackout difensivi) è stato tenuto a bada dalla precisione ai liberi di Howard e da qualche defayances di Bryant. La sensazione di “lampadina accesa” è stata confermata con Gara 4 che, nonostante la sconfitta finale, rappresenta la migliore e unica partita nella quale i Magic hanno dimostrato tutto il proprio potenziale, Lakers o non Lakers. I temi offensivi sono rimasti i soliti: pick’n’roll a due (Turkoglu - Howard con il turco che aveva l’opzione del penetra e scarica o di concludere a canestro) o a tre (con Lewis o Lee sul perimetro) con ricezione di Howard a un metro da canestro e varianti sul termine dell’azione: scarico sul perimetro per il tiro da 3 (solitamente contestato) o per la successiva penetrazione. In alternativa, il gioco in isolamento di Howard (con Lewis e il marcatore diretto fuori dall'arco) con circolazione di palla in caso di raddoppi efficaci. L'unico vero cambiamento nei temi offensivi si è visto con l'ingresso di Nelson sul parquet di gioco (rientrato per le Finals dopo il grave infortunio alla spalla). Con Jameer, i Magic hanno trovato nella Point Guard una fondamentale variante tattica alla circolazione di palla e al gioco in pick’n’roll, avendo a disposizione un esterno in grado di attaccare il canestro e concludere con più affidabilità di Alston, in grado di far saltare gli equilibri difensivi avversari con le sue incursioni sulla linea del tiro libero culminate in un ventaglio di opzioni: tiro in sospensione, passaggi per eventuali tagli backdoor o penetrazioni verso il canestro (e conseguenti tentativi di stoppata del centro avversario) con possibile assist per il lungo compagno di squadra indisturbato sotto canestro. In questo sistema di gioco, l’attraversamento di tutta l’area in palleggio (secondo il più classico gioco di playmaking alla Nash o alla Paul, per intenderci) costituisce una soluzione in grado di far saltare la difesa avversaria in più punti, riaccendendo la pericolosità perimetrale della squadra o creando cambi difensivi favorevoli provocati dai blocchi che il Farmar o il Fisher della situazione incontravano durante le incursioni di Nelson. Non è un caso, infatti, che Van Gundy abbia provato in tutti i modi a reintegrare la giovane PG infortunata, causando più che caos che altro ed ottenendo il risultato di un Alston fuori ritmo e sfiduciato e di un Nelson fuori forma e poco efficace.
Sul lato difensivo, da segnalare gli scarsi raddoppi difensivi su Bryant (evidentemente poco studiati o comunque mal eseguiti) cui hanno fatto da contraltare le buone prove individuali di Lee e di Pietrus nelle due gare casalinghe (e non ingannino i punti di Bryant, ma si controllino le percentuali di tiro). Quasi dominante l’Howard perno della difesa dei Magic, efficace negli aiuti e nelle stoppate e a tratti devastante sotto le plance. Da aggiustare l’utilizzo dei gomiti e i banali falli fischiati sui blocchi in movimento, oltre che la capacità di leggere le scelte offensive dell’avversario (Gasol ha spesso battuto Howard concludendo in gancio prim’ancora che “Superman” fosse con entrambi i piedi a terra oppure la scelta di farlo andar via in palleggio sempre nella direzione preferita dallo spagnolo, la destra). Lewis è stato annullato ed ha annullato per lunghi tratti Odom, così come Alston non ha avuto particolare vita dura contro Fisher. Inaccettabile il lavoro difensivo di Turkoglu su Ariza e le clamorose débacle sulle mancatei coperture perimetrali sui tiri di Bryant, aggravate dal fatto che proprio contro quest’ultimo, nel finale di Gara 3, Hedo è stato in grado di sfoderare una difesa fisica tutt'altro che banale.
La sensazione, comunque, è che il tassello mancante per una difesa da titolo, più che nella coordinazione o nell’esecuzione di squadra, avesse a che fare con la concentrazione dei singoli (si pensi alle triple in serie di Fisher che hanno ucciso Gara 4, concesse da Nelson e dalle scarse rotazioni di Turkoglu).
La buona notizia per il futuro: la stagione inattesa è culminata sì in una sconfitta, ma nella consapevolezza che si può migliorare costruendo da un ottimo punto di partenza. Paradossalmente, la partenza di Turkoglu (Free Agent) potrebbe essere positiva dato che creerà più spazio per i possessi e per la responsabilizzazione di Nelson (spesso il turco ha gestito e ha dato l’avvio all’azione offensiva dei Magic negli ultimi quarti di gioco) aprendo alla possibilità di ingaggio di una guardia/ala con tanti punti nelle mani (magari una star?) e in grado di segnare a prescindere dal diretto coinvolgimento di Howard nell’azione. Sì, il riferimento a Wade è puramente voluto.
La cattiva notizia per il futuro: l’inadeguatezza offensiva di Howard che, non solo possiede un unico movimento (peraltro lento, ad arcobaleno, per concludere in gancio), ma ha mostrato un’intelligenza di gioco veramente povera. I mezzi atletici sono devastanti, ma per diventare qualcuno o, come sembra voglia lui, un leader, bisognerà avere tanta pazienza e lavorare ancora sui tiri liberi (inaccettabili i 4 errori filati che hanno regalato l'OT di Gara 4 ai Lakers). Inoltre, la questione PG non lascia via di scampo: Alston è inadeguato nel ruolo di backup e Nelson deve giocare per crescere. La scelta pare naturalmente orientata verso il prospetto futuro, ma non è un caso che i Magic siano arrivati a sconfiggere Celtics e Cavs solo con Rafer in regia. Toccherà riflettere con attenzione e .. in fretta.
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