
Alice, dopo aver vagato a lungo senza meta, ha infine trovato la mappa di Los Angeles. Ma, come dicono oltreoceano, è stato troppo poco, troppo tardi. Ora è tempo di tornare al Paese delle Meraviglie, Orlando, Florida, con la bilancia che pende già dalla parte dei Lakers con un sentenzioso 2-0. Qualcosa è cambiato, però, tanto per citare l’onnipresente Jack Nicholson a bordocampo; gara 2 è stata tutt’altro che una passeggiata per i gialloviola, terminata dopo un tempo supplementare raggiunto con l’aiuto di un pizzico di grazia divina. I due errori di Lee, il primo su un comodo lay-up a pochi possessi dalla fine e il secondo, più giustificabile, sull’ottima rimessa studiata da Van Gundy a sei decimi dalla sirena, potevano portare Orlando alla prima vittoria in una serie finale, ammutolendo lo Staples Center.
Si capisce che i Magic scesi in campo per gara 2 avevano poco a che vedere con quelli scialbi e svogliati dell’esordio. La perfezione sfiorata nel finale della serie con Boston e nei confronti con Cleveland è ancora lontana, ed il tiro da 3, in quei canestri della città degli angeli non vuole proprio entrare, ma gli uomini chiave si sono risvegliati, facendo anche un certo rumore. Lewis, prestazione da 34 punti, 11 rimbalzi e 7 assist, ha acceso la lampadina dell’agonismo ed ha banchettato in area e fuori; Turkoglu, dopo un primo tempo passato ancora nel dormiveglia, ha aggiunto 22 punti di grande sostanza. Anche le quotazioni di Howard sono in risalita. I lunghi avversari continuano a metterlo in imbarazzo tecnico, evidenziandone la scarsa lucidità con la palla in mano, ma difensivamente ha svolto un lavoro encomiabile, di grande energia e intelligenza; non solo stoppate e voli sopra al ferro, ma difesa sull’uomo, posizione, quelle piccole cose che non vanno nelle statistiche ma danno l’esempio. I Magic, infatti, hanno provato a battere i Lakers nell’unico modo possibile, con la difesa, e per poco non ci riuscivano. Colpa, forse, dell’attacco poco fluido, imballato, e privo di quell’ispirazione vitale di cui i Magic si sono nutriti a lungo in questi Playoff; sto parlando dell’apporto dei vari Alston, Pietrus, Lee, capaci di sorprendere le difese avversarie tutte prese a marcare i pezzi grossi. Per loro, la serie non è ancora cominciata, e Nelson è poco più che un’apparizione difficile da spiegare razionalmente.
Per i Lakers, il canovaccio è lo stesso. I problemi di falli di Bynum sono ormai un’abitudine irrinunciabile, ma quando hai un Odom che gioca così, non hai molto di cui preoccuparti. I lunghi sono la chiave del loro buon avvio: lo stesso Gasol, oltre a orchestrare il gioco e finalizzare con la solita abilità, sta difendendo con insolite passione e lucidità. Il raddoppio su Howard, organizzato da Phil Jackson in modo da intrappolare il nativo di Atlanta nel momento in cui, testa bassa, si getta verso il canestro senza sprecare uomini e spazi pressandolo quando ha le spalle al ferro, funziona come un orologio svizzero. Anche qui, però, manca l’apporto delle seconde linee, rappresentate da degli Ariza e Fisher un po’ anonimi. Lo strapotere fisico di Odom è stato contrastato dalla maggiore intensità di Orlando, e, soprattutto, Bryant è stato autore di una prestazione sottotono. Strano a dirsi, viste le cifre, ma i suoi canestri sono stati estemporanei, costruiti autonomamente, con la palla che passava poco tra le sue mani, e quando ci passava spesso finiva altrove (7 palle perse) o si trasformava in una scelta non ottimale. Nessuno tra i Magic, comunque, ha mostrato di avere le credenziali per marcare il Black Mamba, e tutto dipende da lui; se gioca come in gara 1 possiamo andarcene tutti a casa, altrimenti si può iniziare a ragionare.
C’è anche una partita nella partita, non di minore importanza. Quella tattica, giocata tra Phil Jackson e Stan Van Gundy, e col risultato nettamente a favore di Coach Zen. Con poche mosse ha messo in difficoltà il fluido attacco della franchigia della Florida, e sembra avere in pugno la situazione. Van Gundy oscilla pericolosamente tra il genio e la follia. Le rimesse con cui ha provato a vincere la partita nel finale sono state perle di pura bellezza, gli schemi più semplici chiamati al momento giusto sono stati provvidenziali, ma tante sue indecisioni rischiavano di costare care. La cattiva gestione delle sue guardie, una su tutte, con Alston rimesso in campo quando ormai era freddo, Redick inspiegabilmente lasciato a perdere palla su un parquet sul quale non aveva diritto di cittadinanza. E poi il quintetto super-lungo messo in mezzo per ovviare a dei problemi di falli, esperimento inguardabile, mentre l’idea delle due torri, verosimilmente capace di scardinare questa serie se ben sfruttata, viene proposta ancora timidamente e dà tutta l’idea di essere poco collaudata.
I Magic devono decidere di cosa hanno più bisogno. Se la risposta è “un leader”, allora la soluzione è continuare a dare la palla a Howard con la squadra ferma, senza far girare il pallone, col raddoppio incombente, insomma provare a buttarla sul fisico e sul carattere sperando che il numero 12 emerga. Se la risposta è “un gioco”, allora la soluzione è cavalcare Lewis e Turkoglu, recuperando quella fluidità di cui Orlando è capace. Io propenderei per questa seconda opzione; sarebbe garanzia di una gran bella serie.
Pagelle
Orlando Magic
Rafer Alston 4: il rientro di Nelson lo ha affossato, minandone il già poco stabile equilibrio. Il tiro non va, e le iniziative sono pochissime.
Courtney Lee 5,5: non può tenere Bryant, lo abbiamo capito. Ma il coach ha una fiducia smisurata in lui, ponendolo come terminale di una delle rimesse più belle mai viste in questi ultimi tempi. Per una questione di centimetri non ripaga. Il carattere di questo ragazzo rimane comunque impressionante.
Hedo Turkoglu 6,5: ecco perché il turco non può essere il leader di questa squadra: troppo altalenante. Nel finale è essenziale, vedi la stoppata chirurgica su Bryant, ma troppo incostante nel condurre il gioco. Nel primo tempo, poi, non pervenuto.
Rashard Lewis 8: parte con la mano freddina, circondato dai fantasmi di gara 1. Poi, inizia la sua prima serie finale. Prestazione perfetta, ci mette anche quel fisico che non sempre usa, tutto questo coi compagni che non lo cercano quanto dovrebbero.
Dwight Howard 5: molto più concentrato ed energico di gara 1, è leader in difesa, ma in attacco ha fatto più danni alla propria squadra che una grandinata. Ricezione in post lontano dal canestro, attesa per un passaggio che tutti sanno non avverrà mai, penetrazione disordinata, raddoppio matematico, 7 palle perse. Non funziona così la pallacanestro, young fella.
Mickael Pietrus 5: si sbatte tantissimo in difesa su Bryant, non ottiene granchè, ma questo gli fa onore. Peccato che in attacco sia l’ombra di quel cecchino ammirato in luoghi come la Q e il Garden. Mike Brown e Lebron James gradirebbero sapere perché.
Jameer Nelson 5: svanisce l’effetto sorpresa, e Jameer torna sulla terra. Non ha fiato, non ha difesa, in attacco però è l’unico che prova a entrare dentro. Van Gundy nel gestire i suoi playmaker è in visibile imbarazzo, e ci rimettono sia lui che Alston.
J. J. Redick 4: per 27 minuti, sembrava che un turista fosse sul parquet coi Magic. Van Gundy gli da spazio seguendo probabilmente i consigli dell’oroscopo, lui ricambia con 1-6 da 3, un canestro a termine di una penetrazione che più fuori dagli schemi non si può, e un paio di timide gestioni di palla. Al confronto, i cerchi nel grano sono un mistero da nulla.
Marcin Gortat 6: meno produttivo di altre volte, ma sempre una garanzia. Non sbaglia nulla di nulla, in una serata da 20 turnover complessivi questo gli vale la sufficienza.
Tony Battie: sv
Los Angeles Lakers
Derek Fisher 5,5: non tira male, e questo lo salva. Anche Alston gli da una mano, depresso com’è si dimentica che può attaccarlo. In generale, un Fish smarrito e in crisi d’identità, che però quando serve mette sempre e comunque la palla in fondo al cesto.
Kobe Bryant 7-: tira bene, segna tanto, ha 8 assist, impossibile non dargli la sufficienza. Ma non ha avuto il solito controllo emotivo e tattico sul match, e la grinta andava e veniva. Decisivo, comunque, un canestro irreale in faccia a Turkoglu nel supplementare.
Trevor Ariza 5: è lì per sorprendere tutti con energia e intensità, in realtà si limita a difendere, bene, e a mettere qualche tiro.
Pau Gasol 7: movimenti di bellezza assoluta, ma non è una novità. C’è di nuovo che difende, non tanto coi muscoli quanto col cervello, ed ha perfettamente chiaro in testa, più di Bryant, cosa c’è da fare per vincere la partita.
Andrew Bynum 4: sembra che Phil si stia rassegnando ad usarlo solo per spendere un po’ di falli su Howard. Bisogna però dire che si impegna in difesa, pure troppo, e in quei pochi minuti quando non fa fallo chiude bene sui raddoppi.
Lamar Odom 7,5: Phil Jackson difficilmente sbaglia una valutazione, Odom è veramente il fattore X di questi Lakers. Tirato a lucido, arriva dalla panchina preciso e puntuale, gioca tanti minuti fatti di rimbalzi, difesa e fisicità contro le ali “gentili” di Orlando. In aggiunta, tira anche bene. Di più, potrebbe solo portare a tutti caffè e giornale la mattina.
Luke Walton 4: aveva ben fatto in gara 1, qui ha sfoderato il passo del gambero, tornando ad essere il solito Luke. Non va sottovalutata la sua importanza in questa serie; con la sua stazza e le sue doti di passatore, potrebbe tornare utilissimo.
Farmar, Vujacic, Brown: sv
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