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Denver Nuggets vs Utah Jazz 2 - 4

Tra le sfide più equilibrate di questi NBA Playoff 2010 vi è stata sicuramente quella tra i Denver Nuggets, orfani del loro coach George Karl (costretto ad affidare la panchina al vice Dantley a causa di un aggravarsi delle condizioni di un tumore al collo e alla gola) e gli Utah Jazz del “solito” Jerry Sloan (sulla panchina della squadra di Salt Lake City dal 1988). A guardar il posizionamento in classifica, nulla potrebbe presagire una serie più appassionante: quarta e quinta compagine della divisione Ovest, entrambe al medesimo punteggio (53 vinte e 29 perse) ed entrambe con sconfitte casalinghe sotto la decina (roba pari solo a squadre quali Lakers, Celtics, Cavaliers, Hawks, Suns). Uniche differenze: l’una in chiusura positiva di regular season (i Jazz), l’altra in rallentamento dopo l’abbandono di coach Karl (i Nuggets). Ancora, l’una subissata da infortuni (Utah perderà Okur per tutta la post-season e Kirilenko in forse per un eventuale semi-finals), l’altra con un Carmelo Anthony in grande spolvero (chiude la regular season con 30.7 punti di media conditi da 8.2 assist).

Insomma, i pronostici erano – per buona parte – in favore dei Nuggets per vena offensiva propria e per handicap avversari (Okur è uno starter per Utah e Kirilenko un sesto uomo di lusso, li sostituiranno Fesenko e Miles, due “second round pick” al draft e Matthews, uno che per il draft non è nemmeno stato preso in considerazione).
Quanto anticipato viene sugellato dall’andamento di Gara 1, una partita nella quale i Nuggets schiantano i propri avversari con prove maiuscole di Anthony (42 punti con 18 su 25 al tiro!), appunto, di Smith (dalla panchina) e di Nene. Non casuali, i tre giocatori dei Nuggets rappresentano il principale fulcro per i temi di gioco di questa serie: i match-up di Nene contro Boozer (meno fisico) e contro Fesenko (più lento), la superiorità fisica e tecnica di Melo contro Matthews e CJ Miles e la capacità di spezzare la gara dalla panchina grazie all’esplosività fisica di Smith contro un Korver molto più lento e leggero e, spesso, in affanno. Dei Jazz da salvare il solito Williams, ma la perdita di Okur a gara in corso è un duro colpo per Sloan che vede i suoi lunghi sovrastati da quelli di Denver, più per reattività ed energia che per dimensione fisica.
Con una premessa così, Gara 2 appare già scontata ed è proprio in questo che ha luogo il capolavoro tattico e psicologico di Jerry Sloan. I Jazz si ricompattano nello spogliatoio, comprendono che alla inferiorità del singolo può solo la superiorità del gruppo e tornano sui loro passi, facendo circolare il pallone con continui passaggi e giocando quasi a memoria, come su una schiacchiera, ognuno consapevole – ad occhi chiusi – della posizione in campo dell’altro. A limitare le scorribande di Anthony contribuiscono un’ottima prova difensiva di Matthews e un posizionamento dei lunghi tale da facilitare i raddoppi o i cambi di marcatura; a mettere sotto pressione i lunghi di Denver (Martin in primis) ci pensa Paul Millsap, prezioso per completezza di repertorio sia al di qua che al di là del campo. Tra le guardie invece, Williams realizza che la mancanza di Okur necessita un suo maggior coinvolgimento in termini di punti e così inizia la sua personale sfida con il canestro avversario, bucandolo più volte in tutti i modi possibili, in penetrazione, da 3, in uscita dai blocchi. Appresso a lui, il buon Billups cerca di ribattere colpo su colpo (o, meglio, fallo su fallo), ma la maggior fisicità di Williams pare avere la meglio. Nonostante tutto questo, i Nuggets – con le loro eclettiche capacità offensive – riescono ad affondare una difesa dei Jazz valida, ma tutt’altro che impenetrabile. La partita scivola via punto a punto, fino al punto di rottura: a Denver manca l’apporto di Smith e di Andersen, Utah trova quello di Korver (2 triple e un jump-shot sanciranno la fuga definitiva del quarto quarto) e di Millsap (33 minuti da 18 punti e ben 16 tiri liberi tirati a dimostrarne la quantità di falli subiti).
Parità, 1 gara a testa e si va a Salt Lake City per Gara 3. Le due trasferte si trasformano in incubi per i Nuggets; la squadra continua a battere sui soliti temi, ma la risposta in trasferta dei lunghi di Denver (essenziali per dare pericolosità alle armi perimetrali di Anthony) è disarmante. Nene s’impelaga nelle maglie bianche dei Jazz, Martin e Andersen cercano di tenere botta in difesa. Toccano gli straordinari per Billups che – come sempre – risponde presente. E così per Anthony (ne timbrerà 25), ma la desolazione della panchina e, come detto, di parte degli starters è lampante. Di contro, i Jazz trovano l’esplosione di Millsap tra le mura amiche, già anticipata in G2; la giovane ala di Utah chiuderà con 22 punti e ben 19 rimbalzi di cui ben 6 offensivi (alcuni strappati tra 3 maglie avversarie). A fargli da compagnia, un’altra ottima prova di Korver che, non trovando il tiro, riesce a trovare assist e circolazione di palla per i compagni.
Sul 2 a 1 si va a Gara 4, che diventa ben presto territorio di nuovi scenari all’interno delle stesse logiche. Questa volta la vena offensiva di Melo non viene ben arginata dal duo Miles-Matthews, i quali però prendono confidenza e iniziano ad attaccare il canestro dei Nuggets. Ne vien fuori che alla scarsa prova difensiva (Anthony uscirà con 39 punti) fa pari una solida prova offensiva (Matthews 18 punti e Miles 21). A far pendere la bilancia per la squadra di casa ci penserà un redivivo Boozer da 31 punti (tirando benissimo dal campo, 13 centri su 15 tentativi), 13 rimbalzi (di cui 6 preziosissimi strappati alle mani della difesa di Denver) e 5 assist. 3 a 1 e si torna al Pepsi Center di Denver.

E così, mentre i giocatori dei Nuggets iniziano a rilasciare dichiarazioni di insofferenza nei confronti del loro sostituto coach Dantley, la mancanza di un “vocal leader” sulla panchina emerge in tutta la sua forza in Gara 5. Seppur la prova dei Nuggets porti al successo (per il 3 a 2), l’evoluzione della gara dimostra come, alla fin fine, la squadra di Billups e compagni abbia rischiato seriamente di lasciarsi sfuggire via una gara in continua rincorsa. Un contatto fortuito tra Boozer e Nene porterà il brasiliano ad abbandonare la gara prematuramente e così la falce degli infortuni riscuote vittime anche per Denver; una situazione disastrosa di falli poi, porta sul campo Petro e Andersen e la situazione è tutt’altro che rosea. Nello scoramento generico, Anthony rimane solitario (Billups dovrà sedere per problemi di falli) e la squadra sembra veramente sul punto di sciogliersi. Ci vorranno dei Jazz un po’ distratti (tante le palle buttate al vento nonostante la situazione favorevole) e uno Smith di striscia per domare la gara e tornare a Salt Lake City per la gara utile al pareggio. Sarà, ma gli animi e l’umore che si respira è tutt’altro che carico. Sembra, anzi, che i Jazz abbiano semplicemente contemplato la vittima sanguinare per poi punirla tra le mura amiche.
Si apra il sipario per Gara 6 quindi, secondo match-ball per i Jazz. E in realtà, oltre ai “soliti noti” Billups ed Anthony, la squadra trova un apporto inaspettato dalla panchina in Lawson (il rookie, già attivo nelle precedenti gare in sostituzione di Billups e dei suoi problemi di falli, mostrerà anche tanta – lecita – ingenuità) e in Joey Graham, quasi mai utilizzato e ora chiamato in causa nelle rotazioni per la mancanza di Nene. Ed è proprio per la mancanza di un lungo fondamentale, nei confronti del quale ad inizio serie era stato chiesto di essere il secondo mismatch chiave, che alla lunga i Nuggets subiscono la graduale sconfitta che li eliminerà dai playoff. Accade che nonostante una quantità enorme di palle perse dai Jazz, i Nuggets sprecano tutto per scarsa precisione al tiro (dei comprimari) e per mancanza di peso sotto le plance (37 rimbalzi offensivi per i Jazz a fronte dei 28 dei Nuggets). Serie chiusa e Nuggets a rimandare l’appuntamento con i playoff al prossimo anno.
Un consiglio: mai s’è vista, e questo Karl e società lo sapranno molto meglio di noi, una squadra che lotta per l’anello con guardie e senza lunghi. Ecco allora che un Martin acciaccato, un Andersen dal minutaggio troppo elevato e un Nene senza sostituti diventano troppo poco. E’ una coperta corta, mostrata già lo scorso anno nella serie contro i Lakers. E’ ora di allungarla.

Miglior giocatore della serie: Deron Williams. Chirurgico, intelligente, devastante. Alla lunga divora Billups e la sua esperienza, mette in movimento i compagni e gestisce le sorti dei possessi scottanti. Per il futuro: dategli un lungo, per favore.

by Luigi Fraumeni

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